di Paolo Veronese
Anche io provai a tradurre il mio Confucio,
quel dialogo in cui afferma che...(com'era?)
Incastonati segni come tagli
increspata la pelle a cicatrici
sul visibile, e dentro, il seme vivo,
vena dove dolore e gioia fluiscono:
dove memoria e desiderio attendono
solo di spegnere la sete e il cuore
心脏
ecco dal sangue grumo e fiorescenza -
non è più mio.
La piaga esistenziale
si chiude nei millenni, nervo occulto
del sensibile. Nulla più trascorre,
e tutto corre, come il rio tossicchia
a fondo di una valle, cascatelle
le mie parole
acqua che scalfisce
atomi di pietra, il mio Confucio
zitto, ingiallito sopra il tavolino
macchia fra il tè e il whisky, anch'io provai
a tradurre, come il vecchio Ezra.
Ma non irruppero i partigiani
nel mio silenzio, ma non fu Rapallo
la rocca dell'anima oscura, solo
la febbre, il sonno, o l'amoroso tossico
del senso, a sciogliere parole in alambicco
rime e sonetti e sogni, folle instabile
cura della ferita, il sangue dato
per sempre
il sonno rappreso alle palpebre
chiuse il libro e il battito cifrato
fra una farfalla e un cuore
Ma il cuore, a volte, lo si butta via
come una latta, una cineseria.
心脏
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