di Paolo Veronese
Quel rumore di ghiaia, passi gettati alla fretta, balzi esitati e scivolati pezzetti in derapata; la minuzia di una lingua indecifrata che si scrive e soprascrive il palinsesto di una vita come mille, mille come una epoca e istante, e sola memoria minerale – vi si raccolgono e rimestano il frammento di ogni storia che si rovescia negli angoli improvvisi le vertigini dell’immemore e del ciottolato. L’imbuto in cui tutto può ricapitare ancora, in capitomboli del tempo-suono infinito che si sbriciola in allegro scoppiettio, di cuori e fiati in corse forsennate e ginocchi spellati: cedere, cadiamo eterni e misura in quel fossile rastrello, il manico legnoso i denti intaccati di ruggine. Senti questo balbettio? respira, è un ricordo, sfarinato schiocco delle tue scarpe o delle ossa che sfanno i caduti del mondo, il memento che rimbalza e ti insegue, parte e ti precede a ogni calcio dato, ogni zappata in cui incespichi in un miracolo: momento, odore di pietrisco, chimica e onde di un discepolo zen. Dove è la tua fossa, rammenti? Là fra i vasi di fiori la zia Maria muoveva quasi una danza col rastrello, pignola e quieta; l’ombra che rivedi è quel melograno, sbucato dalla terra, mozzato dalla sega, eppure succede che nell’ottobrata rifiorisca come per assurda abitudine. Come nei tini, estinti di ogni sete torna quel vino asprigno dei bisnonni, quell’ubriacarsi di nascosto nel buio delle cantine ad annusare il fermentato. A dividere il pane della giovinezza col cane orbo e vagabondo. Questo rumore nelle ossa, che ti scricchiolano tra le scapole nel risveglio, nel momento che la bocca conosce la parola caffè – non è poi lo stesso, sottile vocio dei ciottoli, lo scalpiccio dei monelli che inseguono una lucertola per afferrarne la coda e farsene coccarda? Tanto che hai il sospetto che tutto, ma proprio tutto, o la vita non sia che il rovesciare una latta di sassi, ascoltare il rumore e raccontare le favole che ogni sasso ha cantato nella legge della gravità? Non è il cosmo forse, quella striscia di giardino dal portone agli scalini il puzzo il cane il ferro dell’officina l’ombra acerba delle siepi, le gambette che rincasano da scuola? Il pulsare dei graffi di una caduta in bici, il lento passo dei vecchi, la giostra in cui sei seduto nell’orbitare di tutti i destini. 31 V 2021
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