di Paolo Veronese
Calpestasti la gioia - eppur effimera
tracciando di parole aspre la polvere,
"colpa di chi" le due tre perle che avevi
nella bocca innocente le gettasti
oltre il recinto dove i porci sfamano
la bramosia del tempo: oh nel macello
avranno il loro fato, trasmutarsi
in sapore un corpo, ciò che è cenere
imbalsamarlo al breve che sia informe
senso del gusto. Ma delle tue frottole
che cosa resta, il tuo cammino è l'ombra
che nel meriggio schianta, la tua sete
dura nel vino che hai ingozzato a sera
prima di stramazzare nella paglia
il peso di un nome, della vita, della noia.
Dove trascini la tua gamba zoppa
a mendicare un orizzonte nuovo?
I sassi che schioppettano ai sentieri
sono le tue lapidazioni "colpa
di chi?" ti segue la canzone in testa
sonando come una moneta falsa.
Sei Giuda il traditore? Sei l'errante
che sconta ai secoli la sua bestemmia?
Sei il rapsodo che recita incessante
la memoria di Ulisse che non torna?
Sei il pellegrino di ogni casa o bettola
che ti darà calore per la notte?
Chi sei, poeta cieco e stolto
se la bisaccia e colma di frantumi...
Lo specchio non contiene un'esistenza, mima il sentire, sordo senza il sale
che senti alle ferite che ti porti
prive di sonno, "la colpa è del vento!"
Qual è la casa in cui lasciasti il cuore?
Qual è la strada che chiamano vita?
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