di Paolo Veronese
In fondo so, sono un vecchio relitto
di una vita per caso, traccia di un arsenale
di sogni d'infanzia.
Il tempo ha trafitto
in petto e anima, i chiodi nelle scarpe
mi han detto esiste il male
che la pazienza costa, l'esperienza
straccia le vesti e la vista illude.
Anche se la bocca chiude
rabbia o poesia, la voce torna dentro
ributta sul corpo bianco inchiostro
e sulla lingua gusta assenzio
dei parnassiani di un secolo estinto,
raccoglie l'arpa di David e tocca
le sillabe alessandrine, e sorseggia
oblio e indifferenza, bellezza e infamia
mescola le carte, getta i dadi
della vita.
Sosta nel naufragio
di quel groppo di nervi e desideri ch'era,
ora, so, relitto arenato a una cala
dove il vento non smette di soffiare
nei buchi di ferraglia umana,
dove articolano senso e parole
scaraventati d'onde e mistica
sussurrata dal silenzio degli oggetti,
dall'esserci come per sacro dovere.
E sparpagliare a gabbiani e cigni
briciole briciole poesie.
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