di Paolo Veronese
A BRUNO T.
Rimettere ordine e impolverarsi le mani in quell’antro che sono gli scaffali minori, quel giroscala o armadio vecchio o grottino sapiente d’umido in cui finiscono per sorti variabili i libri da dimenticare, o tenere proprio se il caso volesse riscoprirli, è sempre un’esperienza che riserva sorprese, rivela le trame invisibili del dado-destino.
Crocevia di lettere carta e colla e psiche, dove i sensi indugiano, le dita veloci scartabellano, gli occhi voraci registrano, le narici approvano o rigettano, naso al centropagina come per curiosare e analizzare, la barba sulle pagine, poi in una specie di buffo amplesso si richiude e cataloga: da buttare, da tenere ma lontano, “letto per tre quarti”, “strano, perché è finito qui”, “assolutamente da ripristinare” e così via si chiacchiera coi silenti, gli abbarbicati scrittori e poeti e saggi che la piccola cifra della vita ha accumulato inconsapevole.
Manie e manibucate, giacenze di librerie in malora, o libri presi tanto per rivedere la libraia di cui si è infatuati; regali di circostanza, reperti di presentazioni e mostre d’arte, tutto un po’ alla rinfusa, tutto da richiamare all’ordine, piumino alla mano e olio di gomiti. Voci, collegamenti che si innervano e combinano, stranezze e fantasmi, sì, fantasmi.
Di pomeriggio andai al camposanto a trovare un po’ di tranquillità e ispirazione (termine che fa ridere il mondo della critica, eppure è così), roba da tardoromantici con vezzi premoderni, sicché mi venne in mente un poeta locale che conoscevo, ne cercai invano la tomba, e chissà se non l’hanno trasferito.
Questa sera un suo volume è caduto dalla mensola in alto, scivolandomi in mano. Per dono e grazia, per dimostrarsi vivo, spirito che si rianima nel segreto delle pagine. Tutto vive e chiacchiera, benché racchiuso fra buio e oblio, la fatica (o la ginnastica) fatta per ristabilire una disciplina mi ha colmato di sapienza, gratitudine.
Questa la cronachetta, dalla stiva in cui si pressano libri, come in quel libro di Hrabal.
Paul
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