di Paolo Veronese da Maderno
Soffiavamo nel vento quei bulbi setosi
e per gioco spandeva il seme di tarassaco la vita delle vite, animule liberate in volo
Noi come api inconsapevoli toccavamo ogni destino,
sulla pelle il graffio dell'infanzia che brucia
come erba d'estate.
Chi indovina nel breve dolore, lenito di soffio e saliva
il sangue più antico emergere alla superficie,
dirci vivi? dirci senso -
Se la pelle ci è cara, come sanno i baci e le carezze,
se nel fischio del treno il viaggio è già concesso,
noi non siamo che funamboli sulla linea del tempo, caschiamo per gioco
e nelle ali dei vivi e dei morti afferriamo a pena
quella voce che si propala, cessa e ricomincia,
grida o canta la scommessa del sangue, la terra
e la radice:
noi è un fare antico, un oracolo scritto
al principio e precipizio del mondo
il pellegrino Adamo è intreccio di argilla e fuoco
che per miracolo si fanno carne e voluttà,
voglia e peccato, catena di nomi.
Noi fischiavamo I soffioni nel vento
senza sapere di ogni destino toccato,
solo per gioco, e qualche pugno preso e dato
amore e sfida che si ricuce e rivela
la vena che pulsa, la vita che vive.
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