di Paolo Veronese (da “Dipende”)
Anch’io sono un uomo, e mi vogliono mangiare! Lu Xun, Diario di un pazzo
Il Museo della follia, mostra itinerante a cura di Vittorio Sgarbi fa la sua comparsa al MuSa di Salò (esposizione fino al 19 novembre), ribadendo la feconda collaborazione col presidente Giordano Bruno Guerri, dopo la collezione Da Giotto a De Chirico: I Tesori Nascosti, con la quale il museo salodiano aveva aperto i battenti all’arte. La tematica più incentrata, la sobrietà con la quale un tema così sensibile e drammatico viene rappresentato, è davvero apprezzabile: visitarla, meditare un poco sul senso di un’umanità emarginata, val bene una messa. Passando la prima soglia si è accolti da una voce conosciuta, subitamente evocativa. E’ Alda Merini, che idealmente ci introduce là dove la frattura della mente in quella polarità fra creatività e follia conduce all’arte, donandosi all’estro fino al distacco dalla ragione. In un cassettino semiaperto vi sono oggetti alla rinfusa, un pacchetto di sigarette, una collana di perle e forse un fazzoletto di pizzo bianco, il tutto sembra essere sospeso nel tempo, in attesa che torni la poetessa, che rovisti fra le cose, si riaccenda un filo di fumo. Un odore di poesia. Passiamo oltre, scendiamo o saliamo i gradini della follia, nella mente oscura, entro stanze rivestite di blu. Mi soffermo sul piccolo Goya, i Bacon sono insipidi, li lascio subito quando intravvedo il “matto”, sfrecciante, verso la sala in fondo; per poco non mi investiva. L’allestimento della stanza è notevole, vi è raccolto il bestiario campestre del Laccabue, autoritratti, quadri che sembrano appena dipinti, sgocciolanti di colore. In mezzo alla sala la moto, ferma, che sa ancora di benzina. Dev’essere sceso or ora l’Antonio, sarà qui che gironzola per il museo, masticando i colori e impazzendo per il verde…A fine percorso Ligabue torna con dei bronzetti di pantere, e una testa autoritratta. Ecco dov’era finito. Una sala è dedicata a Basaglia, quello che vuotò i manicomi, come si dice. Immagini di strazio e silenzio, foto di centri dove l’uomo ha alienato l’uomo, letti e catene, sporcizia e muri bianchi.
Chi mi accompagna nota che è da pazzi girare con l’audioguida appiccicata all’orecchio, quasi stessimo a telefonare alla luna. Annuisco e spengo, le didascalie basteranno. Più avanti, tre passi appena: un video in cui Guerri ci parla di politica e follia, accanto un quadro di Adolf Hitler, un ‘Senza titolo’ che rappresenta due figure inscatolate in una serie di stanze in fuga prospettica nel grigio – lo scantinato della follia può aprire agli abissi del male? Ancora sale, folli ai margini del buio ad articolare una voce residuale, malata, non dissimile da noi. Una parete di fotografie, dove premendo un pulsante rosso -beep- si accendono, incorniciati da neon, volti sfigurati, muti che parlano, Lazzari che ci guardano: eccoli, i freaks che affollano le nostre inquietudini. Testimoni dell’umano, troppo umano.
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